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Recensione di: The housemaid

18/04/2011 | Recensioni |
Recensione di: The housemaid

Presentato in competizione all’edizione numero 63 del Festival di Cannes, “The housemaid” del regista sud coreano Im Sang-soo (“La moglie dell'avvocato”, 2003), è un interessante remake dell’omonimo film “destroide” (commento dello stesso regista!) diretto nel 1960 da Kim Ki-young. Euny viene assunta come aiuto-governante presso una ricca famiglia borghese. Il padrone di casa, Hoon, la seduce e ne fa la sua amante. Nel rovesciare completamente il punto di vista e la prospettiva dalla quale si osserva il film, Im Sang-soo ribalta in maniera decisa l’aspetto reazionario che caratterizza la pellicola originale. La valutazione che se ne trae dell’alta borghesia coreana è qui quella di un microcosmo malsano, nel quale l’ordine sovvertito da un elemento esterno che conduce alla negatività (in questo caso il desiderio di sedurre) viene ristabilito attraverso l’annientamento di tale ostacolo. Il potere esercitato sui subordinati ha la stessa valenza dell’atto sessuale inteso come sottomissione, ma nel momento stesso in cui questo mina la serenità familiare e con essa il proprio compiacimento di una vita perfetta, i metodi con i quali ripristinare l’ordine possono essere leciti e non. Se il primo film giudicava attraverso la posizione di supremazia del maschio dominante, Im Sang-soo pone l’accento sulle figure femminili, che assumono un ruolo più che mai imperante rispetto alla storia. Se da questo punto di vista il film offre numerosi spunti di riflessione sugli aspetti sociali e comportamentali di una Corea radicata in cinici rituali e gerarchie obsolete, l’eccessiva mescolanza di generi è decisamente fuorviante. La claustrofobia degli ambienti casalinghi, evidente omaggio ai thriller del maestro Hitchcock, cede il passo ad una virata inaspettata verso la  black comedy; e sul finale il film viene dispiegato ad orizzonti onirici quasi felliniani. L’eccessiva dose di manierismo nella cura delle immagini, cozza particolarmente con le intenzioni di indagine sociale che il regista ci aveva dato da intendere nelle prime inquadrature.

Serena Guidoni

 


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